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“Perdi il vizio di perdere le cose”. È questa la sfida lanciata da Apple a tutti i suoi adepti, quelli più fedeli al marchio ma soprattutto i più distratti, con l’introduzione sul mercato degli AirTag. Non hanno certo bisogno di presentazioni: gli smart tracker Bluetooth della Mela morsicata, chiacchieratissimi da anni ma annunciati durante l’evento Spring Uploaded di fine aprile, a pochi giorni dal lancio sul mercato hanno già conquistato l’approvazione di molti.

Il payoff con cui sono stati annunciati mi ha subito rapito, da inguaribile smemorata quale sono. Ho perso di tutto nella vita: chiavi, portafogli, borse, gioielli, ombrelli (tanti ombrelli), zaini, cuffie, cappotti. La testa, quella, proprio mai avuta, incastrata da tempo immemore in un fittissimo e irraggiungibile Cloud di distrazione (spoiler: non è possibile appiccicarsi i tracker in fronte, già domandato durante la sessione Q&A del press event). Per questo, l’ultima novità della Mela sta a me come un flauto sta a un cobra incantato in un suq di Tunisi.

Vogliate dunque comprendermi se, nell’istante esatto in cui ho stretto tra le mani il mio AirTag, mi sono sentita per la prima volta padrona dei miei averi e, a dirla tutta, anche un po’ del mondo. Il lampo di onnipotenza da cui si viene assaliti realizzando di poter rintracciare il proprio oggetto del desiderio in qualsiasi momento, dopo anni di imprecazioni e affaticamenti mentali, vale già da solo dieci punti.


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Di admin