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Sta facendo parlare – di sé e gli altri – da oltre un mese. Ha suscitato interesse e curiosità, acceso polemiche e dissensi ma anche conquistato il benestare di molti, aggiungendo un tassello (forse mancante?) allo sconfinato puzzle della comunicazione. Ha macinato 8,1 milioni di download nel mese di febbraio e ottenuto la benedizione di personaggi del calibro di Mark Zuckerberg e Elon Musk, tra i primi a consacrarlo.

Ha portato, nel suo piccolo, alla rivalsa della parola sull’immagine nel mondo social, spodestata dal trono di imperatrice dopo anni, forte dello stuolo di adepti prostrati al suo cospetto. Avrete già capito che stiamo parlando di Clubhouse, il “social della voce” fondato nella Silicon Valley a inizio 2020, nei mesi più duri della pandemia, che ha però fatto il botto negli ultimi due mesi.

Un modello simile a quello delle radio degli anni Settanta, con le loro lunghe conversazioni improvvisate, che si adatta a un presente scolpito nell’incertezza dalla pandemia (gli hater diranno “ecco l’acqua calda”) e viene reso variopinto da una quantità infinita di tematiche e persone con cui interagire.


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Di admin