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Whistleblowing, reverse engineering, ban, spionaggio industriale: si torna a parlare di Huawei, e delle motivazioni che hanno portato l’amministrazione americana a isolarla dai fornitori per motivi di sicurezza nazionale. L’occasione ci viene data da preziose informazioni di cui La Stampa è entrata in possesso, che riguardano le attività portate avanti dal colosso cinese per rubare e copiare know-how e tecnologie della concorrenza. “Reverse engineering”, appunto, in gergo tecnico.

E qui entra in gioco il whistleblower, ovvero l’informatore di fatti illeciti che ha denunciato vicende accadute a cavallo tra i quartieri generali in Cina e i centri di ricerca di Huawei in Germania, che dipendono dal German Research Center ubicato a Monaco di Baviera. In realtà di informatori che non hanno accettato le condizioni aziendali ce n’è più di uno, ma tra questi figura un italiano – Daniele Di Salvo, che ha deciso di rendere pubblico il suo nome lavorando a stretto contatto con il quotidiano per far emergere la questione.

Dal suo profilo LinkedIn risulta dipendente presso Huawei Technologies Düsseldorf come Senior IP Test Design Engineer, e come gli altri whistleblower coinvolti pare abbia più volte ricevute minacce di licenziamento qualora si fosse rifiutato di fare reverse engineering su Cisco NSO (Network Services Orchestrator), piattaforma di configurazione delle reti SDN che permette di gestire in modo automatizzato e centralizzato router e sistemi basati sul cloud delle aziende. In altre parole, l’ingegnere si sarebbe rifiutato di rubare segreti industriali e proprietà intellettuale a Cisco, così come invece chiesto da alcuni membri dei vertici cinesi della società.


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Di admin