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É inutile girarci intorno: la tecnologia corre, e lo fa sempre più rapidamente alla ricerca di nuovi bisogni da soddisfare. Magari prima li deve anche creare, i bisogni, senza che l’essere umano ne senta effettivamente la necessità. Non è sempre così, ci mancherebbe, la tecnologia nel settore delle telecomunicazioni ha dato (e sta dando) un forte impulso allo sviluppo economico e sociale, mettendoci a disposizione strumenti e servizi che fino a pochi anni fa erano impensabili. Basti pensare all’evoluzione delle reti, che ci ha portato oggi nell’era del 5G e che ci consente di accedere a funzioni innovative nei campi dei trasporti, della medicina e dell’attività produttiva in generale.

Il 5G è appena iniziato, i primi segni della sua presenza e della sua diffusione si iniziano a vedere solo ora – Italia inclusa – ma, come detto, il progresso ha fretta e già si lavora alacremente sulle reti di domani, il 6G. E non si tratta di una novità dell’ultimo minuto: grandi realtà come Huawei, vivo e Samsung da tempo sono impegnate nella ricerca, e c’è addirittura un Libro Bianco che cerca di porre le fondamenta sulla tecnologia. Insomma, tutti si stanno muovendo per non farsi trovare impreparati all’appuntamento, nessuno escluso (Apple e Google, ma anche LG e Microsoft). Ma, detto sinceramente, a cosa servirà mai il 6G? Prova a dare una risposta Counterpoint, che nel suo ultimo report si concentra sul concetto di TeraEconomy.

DAL 5G AL 6G

Dunque il 5G non ci basta più? Forse questo è un dubbio che deve essere formulato non tanto dall’utente comune, quanto dal mondo produttivo, dai fornitori di servizi, dal settore medicale e dei trasporti. Le reti di nuova generazione ci stanno aprendo un mondo nuovo (con questo non diciamo sia effettivamente “indispensabile”), fatto di maggior velocità di download e upload, latenze ridotte al minimo, connessioni stabili anche in condizioni difficili come dentro uno stadio o un teatro.


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Di admin