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Le autorità del New Jersey avranno di che discutere sul caso del trentatreenne di colore Nijeer Parks, un cittadino qualsiasi che a febbraio 2019 ha pagato con una settimana di carcere l’imprecisione di un sistema di riconoscimento del volto. Un errore che mette sul banco degli imputati la tecnologia stessa e la possibilità che possa essere utilizzata in certe condizioni, visto che l’accuratezza dimostrata dopo il falso match ha lasciato una simile cicatrice.

I fatti risalgono al gennaio dello stesso anno quando un uomo ha rubato e assaltato un negozio dell’Hampton Inn Hotel di Woodbridge, New Jersey, fuggendo successivamente dalla scena del crimine; gli investigatori si affidarono così ad un’analisi di riconoscimento facciale sfruttando la sola cosa rimasta a loro disposizione, ovvero una patente falsa, e tale ricerca portarono ad una “comparazione d’alto profilo” per forte somiglianza. La colpa ricadde interamente sul povero Mr. Parks, fino a che le accuse (infondate) non caddero definitivamente nel novembre del 2019, dieci mesi dopo. L’uomo, che non sapeva neanche dove fosse Woodbridge sulla mappa, nel frattempo ha fatto causa alle autorità locali e chiede ora i danni per l’arresto, violazione dei diritti civili e stress emozionale causato.

Non si tratta purtroppo di un caso isolato, pare infatti che le forze dell’ordine statunitensi stiano facendo ricorso a questo sistema di riconoscimento del volto sempre più spesso, nonostante ci siano evidenze che alcuni degli algoritmi che li alimentano siano meno accurati sulle persone di colore. I difensori di questa tecnologia sostengono che sia stata di grande aiuto per il risolvimento di numerosi casi ma il Wall Street Journal ricorda che quest’anno è avvenuta una cosa simile. Protagonista a suo malgrado un certo Robert Williams, uomo di Detroit sospettato in un caso di rapina d’orologio e successivamente incarcerato per 24 ore “grazie” ad un falso riscontro con il riconoscimento del volto. Anche lui ha la pelle scura.


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Di admin