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Emergono alcuni retroscena che riguardano il caso Colonial Pipeline: l’azienda ha confermato al Wall Street Journal di aver effettivamente pagato 75 Bitcoin al gruppo hacker DarkSide (circa 5 milioni di dollari), e di averlo fatto “per il bene della Nazione“. La transazione risulta completata, come conferma anche la società di tracking di criptomonete Elliptic.

Da quando è stato scoperto l’attacco il tema della sicurezza delle infrastrutture è tornato al centro del dibattito politico e sociale. E molti si sono schierati contro l’idea di cedere ai cyber-attivisti (FBI su tutti): pagare significa in sintesi cedere alle loro richieste e creare pericolosi precedenti. Tant’è che subito dopo Colonial Pipeline lo stesso gruppo hacker ha preso di mira anche Toshiba.

L’azienda ha ripercorso nell’intervista le principali tappe della vicenda, dalla scoperta dell’attacco alle 5:30 del mattino del 7 maggio sino alla decisione di mettere offline il sistema per proteggere l’oleodotto appena un’ora dopo. E proprio per farlo ripartire al più presto senza causare danni al Paese la dirigenza si è assunta la responsabilità di pagare immediatamente gli hacker, così da ripristinare il servizio. “Decine di milioni di americani dipendono da Colonial – ospedali, centri medici per le emergenze, forse dell’ordine, vigili del fuoco, aeroporti, camionisti e tutti i viaggiatori“.


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Di admin