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Nel corso del 2020 abbiamo assistito all’esito della più grande indagine antitrust del secolocosì è stata definita nel 2019, quando ne venivano messi assieme tutti i tasselli -, grazie alla quale il tema dello strapotere delle grandi aziende del tech è entrato con forza nel dibattito pubblico.

I The Four – è questa la sigla che riassume gli imputati Amazon, Apple, Facebook e Google – hanno dimostrato come il mondo legislativo non sia più dotato dei giusti criteri di valutazione per identificare le nuove anomalie di mercato causate dai colossi del web. Come dicevamo lo scorso luglio, infatti, le regole Antitrust tradizionali si pongono l’obiettivo di accertare che il consumatore non venga danneggiato da cartelli e politiche di prezzo svantaggiose, tutti elementi che non si applicano in un settore dominato da servizi gratuiti e dallo sfruttamento dei dati personali. In questo scenario diventa anche difficile stabilire quando un’azienda più grande acquisisce una realtà minore allo scopo di soffocare la concorrenza, inglobando il nemico di un tempo al suo interno per evitare di doverlo fronteggiare sul piano di una migliore offerta (il caso dell’acquisizione di Instagram da parte di Facebook è quello più evidente).

I limiti degli organismi antitrust, uniti alla poca efficacia delle sporadiche sanzioni che sono in grado di assegnare una volta rilevata una possibile infrazione, hanno fondamentalmente reso intoccabili le grandi aziende del tech (e non solo), al punto di farle divenire dei veri e propri centri di potere alternativi che, in molti casi, riescono ad esercitare influenze paragonabili a quelle dei tradizionali organi governativi.


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Di admin