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C’è molto dibattito, soprattutto negli Stati Uniti, attorno agli ultimi giorni del presidente uscente Donald Trump e al blocco praticamente universale che i social network hanno imposto nei suoi confronti. La questione è molto complessa e ricca di sfaccettature, ma cerchiamo di sintetizzarla in poche parole:

Dopo aver perso le elezioni presidenziali a settembre, Trump ha continuato ad accusare senza prove e senza fondamento brogli elettorali su larga scala, come aveva fatto preventivamente nei mesi precedenti alle elezioni. Nessuna delle cause legali intentate per sostenere questa tesi ha avuto il benché minimo successo, sempre per mancanza di prove. Trump non ha voluto arrendersi all’evidenza e ha alzato i toni sui social. Ne è scaturito un attacco al Campidoglio la settimana scorsa, dove il Congresso si era riunito per ratificare definitivamente la vittoria di Joe Biden. Nell’attacco sono morte cinque persone, tra cui un poliziotto (un altro poliziotto presente agli scontri si è suicidato il giorno dopo).

Trump è stato accusato di essere la causa dell’insurrezione proprio per via dei suoi messaggi sui social, è stato sottoposto per la seconda volta a procedura di impeachment e praticamente tutti i social hanno bloccato il suo, o i suoi, account ufficiali. Facebook, Instagram e Twitter sono stati tra i primi, hanno poi fatto seguito YouTube, Snapchat e non solo (Twitch aveva già chiuso le porte tempo addietro). Trump ha provato a spostarsi su Parler, un social in cui si professa la libertà di parola e che è praticamente senza moderazione, e per questo molto diffuso tra estremisti e cospirazionisti, soprattutto di destra. Parler ha avuto i suoi 15 minuti di popolarità, ma è stato annientato praticamente subito: Google e Apple l’hanno bannato dai rispettivi negozi di app, e Amazon Web Services ha reciso il proprio contratto di fornitura di hosting.


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Di admin