Parler non ci sta e passa al contrattacco, portando Amazon in tribunale in seguito all’interruzione della fornitura dei servizi di web hosting che ha di fatto azzerato la piattaforma social. Questa mossa di Parler è solo l’ultimo capitolo di una vicenda che va avanti dall’indomani dell’assedio al Congresso degli Stati Uniti da parte dei manifestanti pro-Trump, il cui attacco al centro del potere istituzionale statunitense è stato fomentato dallo stesso presidente uscente.
In seguito a ciò, Donald Trump si è visto tagliato fuori dai principali canali social, in quanto Twitter (in maniera definitiva) e Facebook (blocco a tempo indeterminato sulle sue principali piattaforme) hanno scelto di sospendere o bloccare tutti gli account ufficiali e secondari legati al tycoon. La chiusura dei canali di comunicazione ha portato Trump e i suoi sostenitori a spostarsi su un campo diverso, quello di Parler, una piattaforma social che fa della libertà di parola il suo tratto distintivo. Parler, infatti, ha trovato rapidamente l’appoggio dei sostenitori dell’ex presidente, trasformandosi in pochi giorni in un covo incontrollato di fake news e teorie del complotto che hanno trovato terreno fertile nella dichiarata assenza di barriere e filtri, che in altri contesti garantiscono un campanello d’allarme nei confronti di questo genere di contenuti.
La scelta di Parler è costata cara alla piattaforma social, in quanto sia Apple che Google hanno deciso di rimuovere l’applicazione dai rispettivi store, proprio per via della sua incapacità di auto-moderarsi: non potendo esserci un intervento diretto da parte delle due aziende sul tipo di contenuti offerti dalla piattaforma, è stato scelto di non darle più spazio e di arrestarne la diffusione. Ma le azioni intraprese da Google e Apple non sono state le più penalizzanti, o almeno non quanto quella messa in campo da Amazon, la quale ha direttamente interrotto la fornitura dello spazio di hosting web presso il suo servizio AWS.