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La storia è sempre la solita, ed è vecchia come gli smartphone stessi: in alcuni ecosistemi (iOS) quando lo sviluppatore del sistema operativo (Apple) rilascia una nuova versione l’aggiornamento è disponibile subito, per tutti i dispositivi supportati, in contemporanea. Al massimo, in qualche caso più unico che raro, ci sono stati ritardi di qualche giorno causa bug. In altri ecosistemi, invece (Android), lo sviluppatore, ovvero Google, rilascia solo il codice sorgente del sistema operativo, che poi i produttori devono adattare e personalizzare per i loro sistemi. Morale della favola: alcuni/pochi dispositivi ricevono l’aggiornamento (e tutte le novità che include) subito, altri dopo settimane, altri dopo mesi, altri mai.

Google lavora da anni per mitigare questa situazione, e una delle strategie più corpose è quella di scorporare quanti più componenti possibile dal nocciolo del sistema operativo. Questo da un lato semplifica il lavoro di adattamento dei produttori, dall’altro garantisce che più parti importanti dell’ecosistema siano costantemente aggiornate. Magari qualcuno se lo ricorda: agli albori di Android bisognava aspettare un aggiornamento di sistema per avere una nuova versione della calcolatrice o del client SMS. O del browser internet, per dire.

Questo lungo preambolo per dire che il prossimo elemento ad essere scorporato potrebbe essere il database degli Emoji. Sembra una sciocchezza, ma riflettendoci bene è facile concludere che siano ormai diventati parte del linguaggio di comunicazione quotidiano. Li trovi negli instant messenger, nei social, nei blog e perfino nelle email delle aziende, nel biglietto che ti lascia la moglie prima di uscire che ti ricorda di andare a prendere il latte. Ogni anno si aggiungono nuove icone ed espressioni, e ogni anno chi ha uno smartphone Android deve aspettare la nuova versione del sistema operativo per usarle. E quest’anno l’attesa è particolarmente fastidiosa da sopportare, vista l’aggiunta tutta italiana che è stata fatta quest’anno!


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Di admin