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Ci sono risvolti curiosi nella battaglia legale tra Amazon e Parler: a distanza di circa due mesi da quando aveva sporto denuncia, il social network, che promuove la libertà di espressione e ha una moderazione dei contenuti piuttosto blanda, ha deciso di ritirarla senza ulteriori spiegazioni. Gli avvocati della piattaforma avrebbero dovuto effettuare alcune modifiche alla documentazione della denuncia già un paio di settimane fa, ma avevano chiesto e ottenuto una proroga di due settimane.

Contestualmente, Parler ha sporto una nuova denuncia, sempre contro Amazon, presso la corte statale (e non più federale) di Washington, cambiando le accuse: ora si parla di diffamazione e violazione di contratto. Nello specifico, Parler cita una clausola del contratto secondo cui le terminazioni o sospensioni del servizio di hosting devono essere notificate con 30 giorni di preavviso, per dare tempo ai clienti di risolvere il problema oppure trovare un sostituto.

L’IMPENNATA GRAZIE A TRUMP E AI SUOI SEGUACI

Rimasto sostanzialmente sotto i radar fin dalla sua creazione, Parler stava diventando popolare nelle settimane immediatamente precedenti l’attacco alla sede del Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio grazie all’affluenza di un gran numero di esponenti dell’estrema destra americana. La situazione è precipitata nei giorni dopo l’attacco, quando Twitter, Facebook e gli altri social più affermati hanno deciso di bannare il presidente uscente Donald Trump, ritenendolo responsabile di istigazione alla violenza. Trump e i suoi seguaci si sono quindi riversati in massa su Parler, ma Google, Apple e Amazon sono subito intervenute, rimuovendo l’app dai rispettivi negozi di app e rescindendo il contratto di hosting. La motivazione ufficiale è stata in tutti e tre i casi la stessa: scarso controllo della moderazione e la conseguente prolificazione di messaggi razzisti e violenti.


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Di admin